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Il 29 settembre si celebra in tutto il mondo la Giornata mondiale del Cuore per sensibilizzare i cittadini sull'importanza della prevenzione cardiovascolare. "Le malattie cardiovascolari rappresentano la prima causa di mortalità nel mondo con oltre 20 milioni di decessi ogni anno, oltre il 40% nel nostro Paese, con circa 230.000 morti ogni anno. Le malattie cardiovascolari sono anche la prima causa di disabilità permanente, circa cinque abitanti ogni mille nel nostro Paese hanno una forma di invalidità che deriva dalla malattia cardiovascolare da cui sono stati colpiti". A fare il punto è l'Anmco, l'Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri. "Nelle patologie cardiovascolari la prevenzione è determinante poiché accanto a fattori di rischio non modificabili quali età, sesso e familiarità vi sono anche importanti fattori di rischio modificabili, legati a comportamenti e stili di vita, su cui è possibile intervenire come ad esempio fumo, alcol, scorretta alimentazione e sedentarietà, spesso a loro volta causa di diabete, obesità, ipercolesterolemia o ipertensione arteriosa. Secondo gli ultimi dati dell’Istituto Superiore di Sanità – ricorda Domenico Gabrielli, presidente Fondazione per il tuo cuore dell’Anmco e direttore Cardiologia ospedale San Camillo di Roma – il 98% della popolazione italiana di età compresa tra i 18 e i 69 anni presenta almeno un fattore di rischio cardiovascolare tra ipertensione, ipercolesterolemia, sedentarietà, fumo, diabete e scorretta alimentazione. E’ dunque fondamentale modificare prima di tutto il proprio stile di vita ed assumere correttamente le terapie, ove prescritte, per ridurre drasticamente morbilità e mortalità cardiovascolare; sarà poi compito del proprio medico suggerire gli accertamenti ritenuti utili al singolo paziente". “Tra i principali fattori di rischio nella popolazione generale vi è sicuramente l’ipertensione pressoria, che colpisce oltre il 60% di persone nell’età adulta e se non controllata può portare a conseguenze molto gravi come l’infarto del miocardio, lo scompenso cardiaco, la fibrillazione atriale, l’ictus, e l’insufficienza renale. Vi sono evidenze – aggiunge Gabrielli – che la riduzione della pressione arteriosa, sia essa ottenuta con trattamenti farmacologici o con interventi sullo stile di vita, si associa ad una riduzione del rischio di eventi cardiaci e cerebro-vascolari, oltre che della mortalità. Da qui l’importanza di un’appropriata gestione di questo importante fattore di rischio.” “A fine agosto, durante il congresso annuale della Società europea di cardiologia, sono state presentate le nuove linee guida sull’ipertensione arteriosa – continua presidente Fondazione per il tuo cuore dell’Anmco -che, basandosi sulle più recenti evidenze scientifiche, indicano quali sono i parametri da considerare per iniziare un intervento terapeutico, quali sono i valori target raccomandati durante il trattamento e quali farmaci e strategie mettere in atto per raggiungere gli obiettivi. La prima novità è proprio il titolo 'Linee guida sulla gestione della pressione arteriosa elevata e dell’ipertensione', che sottolinea la necessità di gestire "non solo l’ipertensione, definita dalla presenza di valori pressori > 140/90 mmHg, ma anche la presenza di valori pressori che non raggiungono i suddetti livelli ma sono elevati (pressione sistolica tra 120 e 139 mmHg o diastolica tra 70 e 89 mmHg), che spesso precedono lo sviluppo di ipertensione e possono contribuire all’insorgenza di malattie cardiovascolari, soprattutto se sono associati ad altre condizioni di rischio. Una variazione importante – avverte Gabrielli – rispetto alle precedenti linee guida è l’obiettivo del trattamento farmacologico che, da valori pressori inferiori a 140/90 mmHg indicati nella precedente edizione delle linee guida, è passato a valori sistolici compresi tra 120 e 129 mmHg, se tollerati dal paziente. Si tratta di un cambiamento importante poiché finora era raccomandato un approccio in due fasi con un primo obiettivo di valori inferiori a 140/90 mm Hg e, solo dopo aver raggiunto questo obiettivo, andava preso in considerazione l’obiettivo di valori inferiori a130/80 mmHg. Questo cambiamento è dovuto alle evidenze che hanno dimostrato che trattamenti che riducono in maniera più intensiva i valori pressori consentono di ottenere una maggiore riduzione del rischio di eventi cardiovascolari".
Le nuove linee guida sulla gestione della pressione arteriosa elevata e dell’ipertensione dell'Anmco, "puntano molto sugli interventi mirati a modificare lo stile di vita. In particolare, forniscono indicazioni specifiche e più dettagliate rispetto alla versione precedente in merito all’alimentazione. Viene, ad esempio, raccomandata una restrizione nell’assunzione di alimenti contenenti zuccheri semplici, soprattutto delle bevande zuccherate, che globalmente non devono superare il 10% delle calorie totali introdotte quotidianamente. Inoltre, in soggetti ipertesi e senza malattia renale, suggeriscono un’alimentazione povera di sodio, assumendo in totale non più di un cucchiaino di sale al giorno, e ricca di potassio, ad esempio consumando frutta e verdura quali banane e spinaci". Lo suggerisce Stefania Di Fusco, chairperson area Prevenzione cardiovascolare dell'Anmco (l’Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri) e dirigente medico presso la Cardiologia Clinica e Riabilitativa Ospedale San Filippo Neri Asl Roma 1 di Roma, in occasione della Giornata mondiale del cuore che si celebra il 29 settembre. Secondo Fabrizio Oliva, presidente Anmco e direttore Cardiologia 1 dell’ospedale Niguarda di Milano, "l’Anmco, consapevole del possibile impatto delle nuove raccomandazioni sulla pratica clinica di tutta la comunità cardiologica, ha da subito considerato la necessità di programmare incontri che siano occasione di confronto tra i professionisti esperti per definire le modalità più appropriate per integrare le nuove raccomandazioni nell’attività clinica quotidiana in una modalità che sia compatibile con l’attuale assetto organizzativo". "Le malattie cardiovascolari sono spesso associate ad altre condizioni patologiche come diabete, insufficienza renale e obesità che complicano ulteriormente la gestione della cronicità. Questi pazienti sviluppano condizioni di labilità clinica e fragilità che comportano frequenti ospedalizzazioni e un elevato numero di decessi, che nell’80% dei casi potremmo prevenire intervenendo sui fattori di rischio. E’ dunque fondamentale avviare delle campagne educazionali sull’importanza della prevenzione cardiovascolare e migliorare la consapevolezza sulla rilevanza dell’aderenza terapeutica, troppo spesso sottovalutata dal paziente", conclude Oliva. —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)