(Adnkronos) – “Pur provata da un anno di detenzione carceraria”, Camilla Marianera “non ha ritenuto di fornire alcun elemento di verità rispetto ai gravi fatti di cui si è scoperta, allo stato, unica protagonista unitamente al proprio fidanzato; nessun accenno sui suoi interlocutori pubblici e privati certamente coinvolti nel fatto, secondo una logica criminale di omertà propria di contesti strutturati e capillari”. Lo scrivono i giudici dell’ottava sezione penale di Roma nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso aprile hanno condannato a 6 anni, per corruzione in atti giudiziari, la praticante avvocato. Il procuratore aggiunto Paolo Ielo aveva chiesto in aula una condanna a 6 anni e mezzo. Nella sentenza si afferma che “Marianera non ha fornito alcun contributo di conoscenza della grave vicenda che l'ha vista coinvolta, pur a fronte della giovane età e della carriera professionale cui ambiva. L'imputata ha invero sostenuto strenuamente in prima persona la tesi secondo la quale i servizi illeciti promessi e posti in essere nei confronti di Giampà fossero il frutto di mera millanteria da lei sola artata all'esclusivo fine di procacciarsi clienti” spiegano i giudici. Dopo oltre un anno di carcere, la praticante avvocato è stata ai domiciliari da aprile a maggio scorsi e poi scarcerata e tornata libera, così come il suo fidanzato, Jacopo De Vivo, arrestato con lei a febbraio 2023 e condannato per la stessa accusa di corruzione in atti giudiziari a 5 anni in rito abbreviato. Secondo l’atto d’accusa della pm Giulia Guccione, dal 2021 al dicembre 2022, i due ''erogavano utilità economiche a un pubblico ufficiale allo stato ignoto, appartenente agli uffici giudiziari di Roma e addetto all’ufficio intercettazioni, perché ponesse in essere atti contrari ai doveri del suo ufficio, consistenti nel rilevare l’esistenza di procedimenti penali coperti dal segreto, l’esistenza di intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche, atti remunerati mediamente nella misura di 300 euro a richiesta’’. “Giovane e senza scrupoli, Camilla Marianera ha dato ripetuta prova di tempra criminale ad onta delle sue provate condizioni fisiche e della sua giovane età, mentendo ripetutamente anche su dati non dirimenti la sua responsabilità come la conoscenza dalla caratura criminale di Giampà, a lei presentatole da De Vivo – sottolineano i giudici nelle motivazioni – A parte le ripetute menzogne, disinvoltamente sostenute dall'imputata in sede di interrogatorio, la lettura complessiva e non atomistica dei dialoghi dalla stessa intrattenuti non lasciano residuare dubbi ragionevoli circa il fatto che Marianera vantasse rapporti istituzionali e non idonei a fornirle dietro pagamento notizie riservate in tema di intercettazioni svolgentesi presso la Procura di Roma”. Quanto alle accuse, per i giudici “come si è visto nell'importante conversazione del 20 settembre 2022 intercorsa con Giampà, l'imputata si dimostra esperta conoscitrice di una modalità di funzionamento del dispositivo ‘Virtual’ che solo gli addetti interni alla sala intercettazioni (Cice, ndr.) potevano conoscere, laddove esplicita non solo la tipologia di informazioni acquisibili dalla consultazione del dispositivo, ma altresì la specifica visuale del programma. Segnatamente il riferimento alla luce rossa in caso di chiusura dell'indagine è inequivocabilmente dimostrativa della provenienza dell'informazione, possibile soltanto da un soggetto deputato alla sua gestione. Né è verosimile ritenere con l'imputata che tale informazione sia stata una sua deduzione sulla base del generico significato della luce rossa che indica un segnale di stop” evidenziano i giudici che hanno inviato gli atti in procura in merito alla testimonianza in aula di un teste della difesa. —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)