(Adnkronos) –
Il bilancio delle morti in carcere non si ferma, sono 71 nel 2024. Nella notte tra giovedì e venerdì l’ennesima vittima, un 18enne morto carbonizzato dopo aver appiccato fuoco ad un materasso. Un problema esacerbato dalle condizioni in cui versano gli istituti penitenziari italiani: nel carcere di San Vittore il tasso di sovraffollamento ha sforato il 247%. Nella struttura sono rinchiusi 1.100 detenuti, ma i posti disponibili sono solamente 445. E sono pochi anche gli agenti di polizia penitenziaria: 580 quando ne servirebbero almeno 700. “Ci sono troppe persone nella stessa cella e poco staff per seguire con un percorso strutturato i detenuti. Manca lo spazio vitale – dice all’Adnkronos Valeria Imbrogno, psicologa che lavora nelle carceri milanesi – Già solamente avere una cella singola cambia totalmente la qualità di vita di un detenuto”. Molti detenuti a San Vittore sono in transito e in attesa di giudizio. Si tratta spesso di indigenti provenienti da un percorso di vita per il quale si sono ritrovati a rubare per sopravvivere. “Casi di persone che potrebbero benissimo essere seguite da servizi sociali, piuttosto che da agenti di rete con strutture sociali che li supportano. Già aiuterebbe contro il sovraffollamento” aggiunge Imbrogno. Le condizioni all’interno degli istituti penali italiani sono dure, sopportarle senza avere ripercussioni psicologiche è un caso più unico che raro. Servirebbe un adeguato supporto psicologico che segua i detenuti, anche per riabilitarli e permettere il loro reinserimento come individui utili alla società. Ma la psicologa è netta: “Il supporto psicologico che viene dato in carcere è quasi inesistente”. L’esperto è chiamato a rispondere al magistrato di sorveglianza, a cercare di esplicitare la personalità del detenuto per l’ottenimento di eventuali permessi che ne permettano la riabilitazione, ma è un lavoro svolto da pochissimi. “Per il numero di detenuti per cui siamo tenuti a scrivere una relazione, riusciamo a vedere il singolo massimo una o due volte al mese, assolutamente insufficiente per fornire un supporto psicologico adeguato”, spiega.
Andrebbero poi cambiate anche le modalità con cui vengono svolti i sopralluoghi. È un metodo che funziona quando la struttura non viene avvisata: “I sopralluoghi andrebbero fatti senza avvisare le carceri, così da vedere la vera funzionalità – sostiene Imbrogno – Ci sono situazioni dove le cose funzionano bene, ma altre no, e se vengono allertate dei sopralluoghi perde tutto di senso”. “Riferire su quale sia lo stato di salute nelle carceri andrebbe fatto in maniera più improvvisa, senza avvisi precedenti. Ecco perché poi sono state fatte diffide anche dall’associazione Luca Coscioni”, conclude l’esperta che ne fa parte. —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)